«Corri Forrest, corri!» o forse dovremmo dire Corri Brand, corri! Tutti ricorderanno quando Forrest Gump corre per la prima volta per scappare dai bulli incitato dall’amica Jenny e tutti ricorderanno la sua lunga corsa durata tre anni conclusasi con un suo “sono stanco”. Bene, anche i brand corrono e lo fanno tutti i giorni con i loro prodotti. E come in ogni gara che si rispetti il momento cruciale della corsa è l’ultimo tratto, quello che spesso viene chiamato ultimo miglio. Come dare valore all’ultimo tratto dell’esperienza di acquisto, quando cioè il prodotto giunge nelle mani del consumatore? Semplice: prima bisogna dare valore al momento in cui il consumatore deve scegliere il prodotto da tenere nelle proprie mani.
Ultimo miglio: non solo logistica
Spesso quando si parla di ultimo miglio si pensa semplicemente al lato logistico della distribuzione. Gli autori di “Rethinking the Value Chain”, un rapporto realizzato da Capgemini e Consumer Goods Forum, scrivono: «Sempre più i consumatori vogliono scegliere liberamente fra ordini online, esperienza in negozio, consegna a domicilio e prelievo da un punto di ritiro».
Non è un caso quindi che molte aziende, Amazon e GDO in primis, stiano ripensando al modello distributivo dell’ultimo miglio investendo su sistemi Clicca e Vai o Drive, cioè modalità di ritiro per la propria spesa dove è il consumatore che compie questo tratto.
Ultimo miglio però non è solo questione di trasporti e logistica, soprattutto se si parla di retail. Per ultimo miglio si intende anche l’ultimo tratto che un’azienda o brand deve saper correre per posizionare il prodotto nel punto vendita e farlo vivere al consumatore.
Quando i propri prodotti vengono venduti in diversi punti vendita, sparsi su vaste aree geografiche, in catene con diverse regole espositive, un’azienda deve saper gestire la lunga catena del trade fatta di distributori e agenti di vendita. Presidiare questo ultimo tratto che il prodotto percorre prima di arrivare nelle mani del consumatore è cruciale per un brand: se l’identità di marca non viene giustamente comunicata prima a chi venderà il prodotto, il retail, allora non arriverà mai a chi dovrebbe scegliere e comprare quel prodotto. Soprattutto oggi, in un mondo così digitalizzato.
Prima il sell in, poi il sell out!
Facciamo un passo indietro. Non è solo il consumatore che sceglie un prodotto, ma lo sono anche i negozi, le catene GDS e GDO, i bar, i ristoranti che poi saranno a loro volta il luogo dove il consumatore sceglie. E come abbiamo più volte ribadito, questi sono tutti luoghi centrali per far vivere il brand: il retail è luogo di esperienza, uno spettacolo sempre più apprezzato dai consumatori. È qui che le persone si aspettano di vivere la marca, è qui che, a differenza del digitale, si aspettano di entrare in contatto con il prodotto e con una realtà specifica, fatta di persone e display con cui interagire. O così dovrebbe essere.
Primo momento della verità e Momento zero
Nel 2005 la Procter & Gamble teorizzò il Primo Momento della Verità (First Moment of Truth – FMOT), cioè quel lasso di tempo che va dai 3 ai 7 secondi in cui il consumatore che si trova davanti allo scaffale decide quale prodotto comprare tra le varie marche disponibili. Il secondo momento della verità invece è quando il consumatore prova il prodotto a casa e decide se ne è soddisfatto o meno. Questa, la ben nota customer satisfaction, inciderà notevolmente sulle sue future scelte di acquisto.
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Gli anni sono passati dal 2005 ed è ormai risaputo che oggi si parla piuttosto del Momento Zero della Verità. Coniato da Jim Lecinski di Google, il concetto di ZMOT, ovvero “Zero Moment of Truth”, indica il momento in cui il consumatore va su internet a cercare informazioni sul prodotto dopo aver ricevuto uno “stimolo” esterno sullo stesso, come ad esempio la prova in negozio di un vestito. Questa ricerca digitale è ciò che può spingere il consumatore a scegliere se acquistare o meno il prodotto: ecco svelato il momento zero.
Negli ultimi anni quasi tutte le persone hanno il mondo di Google nelle proprie tasche e più della metà delle persone cerca informazioni su internet prima di acquistare. Sappiamo infatti che (fonte WeAreSocial):
- Il 46% della popolazione mondiale usa Internet
- Il 31% ha un profilo attivo sui Social Media
- Il 51% usa uno smartphone.
La customer journey si è fatta più complessa.
Se esiste questo momento zero, perché dare importanza all’ultimo miglio nel retail allora? Perché lo store è vivo, vegeto e fiorente: è il luogo dove il 57% dei consumatori prende la maggior parte delle decisioni di acquisto (fonte Epson) e dove viene intercettato il 67% dei potenziali clienti (Fonte Nielsen Europe).
L’importanza dell’ultimo miglio nel retail
Il punto è proprio questo: il momento zero può intervenire durante la scelta di un prodotto, ma ciò non toglie che nel retail il brand debba soddisfare le aspettative del consumatore. L’uno non esclude l’altro.
Recensioni sul web, blog interverranno sicuramente in qualche modo nel famoso momento zero, ma ovviamente avranno peso maggiore qualora la product experience in store sia stata deludente. Ecco dunque che l’ultimo miglio nel retail deve essere strategico. Nel pianificarlo intervengono almeno 4 variabili.
Persone
Ebbene sì, le persone sono essenziali. Chi vende il prodotto ai buyer? Chi poi ne mantiene i contatti? Sono persone, per l’esattezza agenti di vendita che prendono accordi commerciali. Al loro fianco però stanno diventando sempre più centrali i Field Sales, figure che non solo si occupano della trattativa con i buyer e di attività di trade marketing e visibility ma, essendo totalmente dedicati alla vendita di un prodotto specifico in un’area geografica specifica, sono in grado di comunicarne qualità e caratteristiche in modo focalizzato.
Formazione
Per far vivere il prodotto al retail è necessario conoscerlo. L’identità e il valore della marca giunge attraverso la formazione. Per questo risulta fondamentale fare training su chi venderà il prodotto in store e avrà il compito di farlo vivere al consumatore.
Piattaforme
Ovviamente più la rete è vasta a livello geografico più sono necessari strumenti per il monitoraggio dell’attività sul retail. Piattaforme per gestire stock, rotazione di prodotto, reportistica fotografica e non solo diventano basilari in un’attività così complessa.
Analizzare le performance
Tendenza degli ultimi anni è accompagnare l’esposizione di un prodotto in store con display materials dedicati. Questi materiali sono la chiave di volta per capire come si è percorso questo ultimo miglio nel retail. Esistono infatti dispositivi di footfall analysis applicabili anche ai più piccoli display che consentono di monitorare il flusso di persone vicino all’area espositiva del prodotto. I dati che ne conseguono uniti a quelli di venduto consentono di far emergere criticità nel retail, punto conclusivo dell’ultimo miglio.
La corsa è lunga ma non impossibile: avere una strategia sul retail permette di affrontare la strada senza disperdere energie, risorse e idee. Il brand a differenza di Forrest non concluderà la corsa con un “sono stanco”, ma con un “ce l’ho fatta!”.
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