Non si hanno clienti soddisfatti se non si hanno dipendenti soddisfatti. Questa frase racchiude il senso della prima delle due video interviste che il professor Kazuo Inumaru ha rilasciato per Free-Way e Qpx, partner Free-Way. È di Omotenashi che ci parla, un concetto derivante dalla tradizione giapponese dell’ospitalità che nel tempo è stato declinato in molti ambiti del business, dal management alle risorse umane, dalla Customer Experience al marketing. Nella seconda video intervista il professor Inumaru approfondisce il tema dell’identità di una realtà aziendale: come rispondere alla domanda chi siamo?
Intervista 2/2 al professor Kazuo Inumaru
Omotenashi come cultura aziendale
Specializzato in sociologia e antropologia sociale, consulente per anni di grandi realtà aziendali e professore per oltre 30 anni all’Università di Pavia, Kazuo Inumaru ha spiegato come Omotenashi significhi “senza facciata”. Omotenashi è la capacità di prevenire i desideri e le aspettative del cliente prima ancora che questo le manifesti esplicitamente. Il fine dunque è rendere felice e soddisfatto il proprio cliente come fosse un ospite.
Quando parliamo di business il processo è più complicato. La soddisfazione del cliente viene a identificarsi con quella del management perché avere una clientela soddisfatta significa avere un business maggiore. Soddisfare i clienti vuol dire fornire loro una Customer Experience all’altezza delle loro aspettative. E questo aspetto dipende anche dai dipendenti: quando sono soddisfatti, essi sono disposti a fornire un servizio il cui valore va ben oltre lo stipendio che percepiscono e il contratto stipulato.
Con l’esempio dell’azienda statunitense Barry-Wehmiller, avevamo sottolineato come la soddisfazione e la felicità di un dipendente sia posta grazie a una cultura aziendale che dia importanza al lato umano del business. Questa cultura può essere introdotta solo dal management. Bob Chapman, Ceo e Chairman della Barry-Wehmiller, della felicità dei propri dipendenti ne ha fatto addirittura la mission della propria azienda, comprendendo come la qualità del prodotto fosse imprescindibilmente legata alla qualità del lavoro dei propri dipendenti. Questo è Omotenashi.
Who or What?
Un cliente percepisce un negozio, un’impresa, un brand come un’unica organizzazione: ogni persona che vi lavora rappresenta quel marchio e quell’attività. Come sottolinea il professor Kazuo Inumaru, quello che viene prodotto, il cosa facciamo, è solo il cerchio più esterno di un processo concentrico che passa attraverso il come lo facciamo per giungere al nucleo centrale: perché lo facciamo? What, How, Why: al centro di tutto c’è il concetto di identità, chi siamo?
Il chi siamo è un noi che deve essere condiviso, spiegato dal management e diffuso nella realtà imprenditoriale attraverso una cultura aziendale fatta di una mission, di una vision, di un atteggiamento, di un modo di fare. Possiamo produrre differenti oggetti, possiamo fornire servizi differenti, come avviene nelle Full Service Agency, ma è il nostro modo di essere che distingue veramente i nostri prodotti.
Decliniamo questo esempio in una realtà aziendale. Come può ogni singolo individuo condividere la stessa identità del management, creando insieme un’unica voce e un unico volto davanti al consumatore?
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Anche questo è compito della leadership. Il concetto del chi siamo si collega al concetto del chi sono io? Ogni individuo ha una sua identità legata alle proprie origini familiari, culturali e alle proprie esperienze di vita quotidiana, per esempio il lavoro. Sta al management, secondo l’Omotenashi, instaurare un rapporto con i propri dipendenti tale per cui se si rivolge loro la domanda “che lavoro fai?” questi non rispondo “sono un ingegnere di produzione” o “sono un addetto al controllo qualità”, ma ognuno risponderà “io lavoro in questa azienda”.
Walter De Silva: reinventarsi rimanendo fedeli a se stessi
Il chi siamo? è una domanda a cui si risponde con il cosa vogliamo essere e molte teorie della psicologia sociale affermano che siamo più soddisfatti umanamente e professionalmente se ci sentiamo realizzati, vale a dire se ogni giorno impariamo qualcosa, facciamo esperienza.
Entriamo nel dettaglio del concetto del chi siamo. Il professor Inumaru riporta l’esempio di Walter de Silva, designer che ha reso grandi Fiat e Volkswagen disegnando auto passate alla storia come icone, dalla Alfa 156 alla nuova Golf.
Dopo aver lasciato il mondo delle auto nel novembre 2015, Walter De Silva ha voluto continuare a creare icone e oggi disegna scarpe femminili di haute couture. La sua nuova carriera potrebbe sorprendere eppure non è una strada così lontana dalla sua esperienza professionale pregressa.
Come le sue auto, le scarpe di De Silva attraggono per la loro bellezza, la semplicità, la purezza delle linee, le superfici complesse unite da una particolare logica….e perché sono oggetti dinamici. Walter De Silva non ha cambiato lavoro: ha cambiato il cosa fa, il What, ma non il perché, il Why. Da sempre disegna oggetti che attraggono per la loro bellezza e dinamicità. Il designer è riuscito a reinventarsi rimanendo fedele a se stesso, non cambiando il Chi è.
Omotenashi è il vero volto della Customer Experience
Offrire una Customer Experience all’altezza delle aspettative del cliente è solo la parte finale di un processo che ha radici nella cultura e nell’organizzazione aziendale. Omotenashi infatti è costruire un ambiente lavorativo dove esiste rispetto per e tra i dipendenti da un lato e una condivisione di valori dall’altra. È la leadership che ha il compito di creare le condizioni perché ciò avvenga, ma è compito di ognuno sentirsi partecipe dell’organizzazione, superare ogni giorno la dicotomia individuo-gruppo ed essere il volto del brand.
Dipendente soddisfatto, cliente soddisfatto, management soddisfatto: solo se il brand fa proprio l’Omotenashi il cliente si sentirà ospite e non solo consumatore, una persona ben disposta a tornare e fedele nelle sue scelte.
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